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Evans

Università degli Studi di Bergamo, Aula 5, martedì 28 marzo 2017, ore 9,30

“…proclamo Evans Appiah Billa dottore in Scienze Pedagogiche con la votazione di 110/110”!

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Tredici anni fa, in un pomeriggio d’autunno, arrivava a San Giorgio un ragazzino riservato, proveniente dal Ghana, che si era iscritto al primo anno dell’Istituto Pesenti. Evans aveva bisogno di consolidare la conoscenza della lingua italiana e di imparare un metodo di studio.

Era sempre presente, sia durante il tempo dedicato allo studio sia durante le attività proposte dalla Fabbrica dei Sogni, partecipando con passione agli allenamenti e alle partite della squadra di basket e alle escursioni in montagna.

Ben presto si era dato da fare nell’assistenza al gioco dei più piccoli, collaborando attivamente con l’educatore; tanto che, dopo qualche anno, l’Associazione gli aveva affidato il compito di Animatore.

Ottenuto il diploma di maturità, aveva espresso il desiderio di frequentare l’università per completare la sua formazione pedagogica. Così la Fondazione San Giorgio gli aveva assegnato la borsa di studio “Paolo Scaglia” per aiutarlo a realizzare il suo sogno. Successivamente la Fabbrica dei Sogni lo ha assunto in qualità di Educatore, dandogli la possibilità di sperimentare nell’incontro quotidiano con i ragazzi quanto appreso durante il percorso universitario.

Qualche anno fa, nel 2012, Evans aveva fatto un viaggio in Africa per riabbracciare la madre e presentarle la fidanzata. Le condizioni di vita nel suo paese natale, che aveva toccato con mano a distanza di tempo, lo avevano scosso e non era riuscito a restarne indifferente. Rientrando in Italia, aveva maturato il desiderio di dare una casa alla madre e ai fratellini rimasti in Ghana; così, risparmiando sulle spese personali, è riuscito ad acquistare un terreno per loro e a contribuire alla costruzione di una nuova abitazione.

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Laureatosi in Scienze dell’Educazione, ha voluto continuare con il corso specialistico in Scienze Pedagogiche. Ed eccoci ad oggi!

Il suo progetto di vita prevede ora uno stacco dall’Italia, ma Evans non è certo di riuscire a stare lontano dalla realtà di San Giorgio, che per anni ha considerato come casa sua.

Dopo il prossimo periodo di tirocinio ed inserimento professionale oltre Manica, Evans sogna di costruire una sua famiglia e di dare qualcosa al suo Paese d’origine. Consapevole, infatti, del valore dell’istruzione nella vita di ogni persona, vorrebbe contribuire alla costruzione di una scuola in Ghana.

 

 

 

 

 

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Evans è amato dai bambini per la fantasia con cui propone i giochi, è ammirato dai ragazzi per la sua agilità nella danza – il venerdì nel tardo pomeriggio alla Fabbrica si fa musica –, è apprezzato dai più grandi per la sua capacità di ascoltare ed entrare in empatia, è gradito agli adulti perché attento ad insegnare il rispetto delle regole del vivere insieme.

Evans è molto grato all’ambiente di San Giorgio che lo ha accolto e lo ha sostenuto in vario modo nella sua crescita. Anche spiritualmente, Evans ha trovato nella Comunità di Vita Cristiana (CVX) delle persone che lo hanno accompagnato nelle sue scelte di vita.

Il nostro testimoniare…

E’ possibile essere testimoni del Cristo nel mondo d’oggi?

Forse basta non tenere solo per sé la gioia provata in un incontro, il senso di pienezza, pur se fugace, sperimentato in qualche occasione…

La nostra spiritualità ci insegna ad essere contemplativi nell’azione, a “essere nel mondo senza essere del mondo”. Ma l’insegnamento dei Padri Gesuiti che ci hanno accompagnato ci ha sempre spinto a non omologarci, a cercare ciascuno la propria via, utilizzando lo strumento ignaziano del Discernimento.

Ecco che nella nostra piccola comunità sono fiorite esperienze di servizio in diversi ambiti, portate avanti sia singolarmente che in gruppo.

In questa sezione sono presentati i differenti apostolati svolti dai membri della nostra comunità.

La nonna della Fabbrica dei Sogni

La mia presenza alla Fabbrica dei Sogni è datata  2001. Ho cominciato con una certa ritrosia: essendo insegnante, non ero entusiasta di passare anche il pomeriggio a fare le stesse cose che facevo al mattino.

Ben presto, però, mi sono accorta che era tutto un altro lavoro rispetto a quello che facevo a scuola: affiancare nello studio questi ragazzi era gratificante, perché avevano voglia di imparare e mostravano rispetto e gratitudine verso l’adulto che si dedicava loro. Questo mi ha portato a cercare modalità di comunicazione più immediate attraverso la gestualità, il disegno, lo schema. Ho imparato a semplificare i messaggi contenuti nei libri di testo per rimuovere ostacoli che impediscono l’accesso alla conoscenza e, di settimana in settimana, ho constatato progressi nell’apprendimento dei ragazzi.

Dopo qualche tempo, qualcuno di loro ha cominciato a raccontare frammenti della propria storia, partendo da ciò che in quel momento generava sofferenza: poteva essere il disaccordo con un genitore sulle proprie scelte di vita, o la nostalgia del mondo lasciato, oppure la difficoltà di ricostruire il rapporto con un genitore quasi sconosciuto con cui aveva vissuto solo nella prima infanzia, o ancora il disagio provocato dai compagni di scuola che lo emarginavano.

Ad un certo punto qualcuno dei ragazzi ha cominciato a chiamarmi “nonna”: sulle prime sono rimasta perplessa (in quel periodo mi tingevo i capelli…), poi ho compreso che con quel titolo i ragazzi evocavano una figura cara, lasciata in Africa, che li aveva accuditi nei lunghi anni di lontananza dei genitori. Sapere che i miei figli naturali avevano avuto la possibilità di crescere fra tante opportunità di apprendimento, di esercizio sportivo, di viaggi, di affetto da parte di tutta la famiglia mi creava il bisogno di regalare anche a questi “nipoti” acquisiti le stesse opportunità.

Ho cominciato a sciogliermi, ad essere più libera nel manifestare i miei sentimenti, a lasciarmi abbracciare, ad accogliere il loro saluto affettuoso come una ricchezza che aumentava di giorno in giorno, comprendendo che molti giovani non sanno chiamare per nome le loro emozioni, perché non hanno qualcuno che sia attento a quello che stanno vivendo. Le esperienze vissute nel pomeriggio a San Giorgio animavano le conversazioni serali in famiglia: tanto che i vari Youssef, Habiba, Natalya, Mohammed diventavano gli invisibili commensali della nostra tavola. Il nostro desiderio giovanile di trasferirci un giorno in Africa andava prendendo forma: l’Africa era venuta a stare da noi.

Quando mi sono ritrovata improvvisamente vedova, l’aver intrapreso questo impegno, condiviso con mio marito, mi ha permesso di ritrovare lo scopo e la serenità del vivere, dopo un periodo iniziale di disorientamento. Mi sono sentita ancora utile nella mia professionalità e, come persona, più forte e capace di dar voce alle difficoltà e alle necessità di questi ragazzi secondo le mie capacità.

Il modello consumistico prospettato dalla nostra società e l’attuale svalutazione del valore della dignità della persona possono indurre i ragazzi a buttarsi via, soprattutto coloro che hanno scarse possibilità economiche o che sperimentano insuccessi scolastici. Mi sono accorta che molti ragazzi sono confusi riguardo alla propria identità culturale, attratti dal modello di vita occidentale, ma trattenuti da quello del proprio Paese d’origine, sostenuto dai genitori.

Io credo sia importante suscitare in ciascuno quelle domande esistenziali al fine che l’individuo si sviluppi in modo completo ed eviti di essere fagocitato dal nostro sistema omologante, secondo un’idea di integrazione che non condivido. La mia fede si manifesta anche in questo: credo profondamente nel valore della persona, di qualsiasi persona, e le differenze antropologiche fisiche o comportamentali mi appaiono come abiti che velano l’uguale umanità che è in ciascuno.

                                                                                                                                             Maria

Un modo di concepire la vita in DUE

Quando, con mia moglie Carla, iniziammo ad accompagnare le coppie di fidanzati nell’itinerario di preparazione al Matrimonio, ci sentivamo, con due figli già grandi ma con l’ultimo figlio ancora alla scuola primaria, sufficientemente  in grado di essere in sintonia con le motivazioni e il sentire di coppie giovani.

Da allora sono trascorsi circa 25 anni e spesso ci chiediamo se siamo in grado di comprendere fino in fondo la realtà della famiglia come viene concepita oggi, in un contesto ambientale così diverso da quello in cui noi abbiamo vissuto il nostro progetto di vita insieme. Voglio dire che in passato tutto era finalizzato a condurre due persone che si amavano al matrimonio, ed al Matrimonio come Sacramento, anche se spesso ciò avveniva per tradizione, piuttosto che per effettivo convincimento.

Forse anch’io sono arrivato al Matrimonio in chiesa perché non vi era altro modo di concepire la vita a due, ma credo sia stato il vivere concretamente l’uno accanto all’altra, l’esperienza del diventare genitori, il trasmettere il senso della vita ai propri figli, l’amore di una moglie che ti permette di superare i momenti di disagio esistenziale, tutto questo mi ha reso consapevole dell’importanza della scelta fatta e mi ha spinto a desiderare di dirlo agli altri.

Un momento di svolta nella nostra vita di coppia fu determinato da un cambio di abitazione che ci portò vicino alla chiesa di San Giorgio e alla conoscenza dei Padri Gesuiti, dove Carla iniziò a seguire le lectio di approfondimento della Parola, nonché l’esperienza degli Esercizi di S. Ignazio: da qui il coinvolgimento mio e il nome Giorgio dato al nostro terzo figlio, nonché l’appartenenza alla CVX.

Tornando alle difficoltà di comprensione del presente da parte di chi ha già fatto un bel pezzo di strada (di recente abbiamo visto un film sul cammino di Santiago) credo che l’Amore, se per amore intendiamo ciò che connota l’essenza del Creatore, lega l’umanità nel susseguirsi delle generazioni e ciascuna abbia qualcosa da dire all’altra: quando siamo in mezzo alle coppie di fidanzati, vedendo i loro sguardi di intesa e i loro gesti affettuosi ci rendiamo conto che nulla è cambiato anche se tutto è diverso e ci sentiamo bene con loro e con noi stessi, perché siamo col Signore.

                                                                                                                                             Guido

Il Centro di Primo Ascolto (CPA)

E’ dal 1996 che un gruppo di parrocchiani ha risposto positivamente ad un progetto della Caritas che, per meglio operare sul territorio, aveva pensato di affiancare al suo CPA diocesano tanti altri CPA parrocchiali. Un luogo ove trovare ascolto, accoglienza, disponibilità ed un aiuto concreto per chi è in difficoltà o nel bisogno.

Il nostro CPA di S.Alessandro in Colonna è costituito, oggi, da una ventina di volontari che si alternano durante gli orari di apertura con ruoli diversi quale l’ascolto, il guardaroba, l’approvvigionamento alimentare, la segreteria, il coordinamento.

Un altro ruolo importante è il coinvolgimento dei residenti, affinché aumenti la sensibilità, la generosità, l’apertura verso le povertà locali, ma anche l’attenzione nel segnalare casi di povertà non così palesi, ma pur sempre dolorosi.

Non è sempre facile operare in questo contesto: i ritorni che appagano sono molto rari. E’ solo la preghiera che sostiene sempre e rinnova il desiderio di essere presente perché il dolore condiviso pesi meno.

                                                                                                                                           Carla

Il catechismo in parrocchia

La parola a Rosanna… l’organizzazione

Ormai da molti anni presso il Centro San Giorgio non viene più effettuata la catechesi, perché i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana vengono celebrati nella parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna. Questo ha comportato che alcuni aderenti alla CVX si siano resi disponibili ad offrire tale servizio presso l’oratorio dell’Immacolata, su invito del Parroco e del Curato.

I ragazzi che partecipano alla catechesi parrocchiale sono circa 200, suddivisi per età e classi scolastiche frequentate, a partire dalla seconda elementare fino alla seconda media. In questo lungo cammino, vengono supportati da una ventina di catechiste, che periodicamente partecipano ad incontri di formazione tenuti dal Parroco e dal Curato, presso i locali dell’oratorio. Una volta l’anno il Vescovo incontra tutti i catechisti della Diocesi presso il Seminario cittadino.

Periodicamente tutte le classi del catechismo partecipano ad una giornata di ritiro, ovviamente di domenica, al termine della quale ai genitori dei ragazzi viene presentato il lavoro svolto dai figli. Per i ragazzi che riceveranno la Prima Comunione è previsto un ritiro di alcuni giorni presso la Casa Parrocchiale di Bratto, mentre per i cresimandi è previsto un ritiro di alcuni giorni ad Assisi.

Sono questi i momenti forti particolarmente sentiti e partecipati dai ragazzi e dalle famiglie.

                                                                                                                   Rosanna

La parola ad Anna… l’esperienza

Ritengo che essere catechista sia una chiamata alla missione evangelizzatrice. Una chiamata che a volte giunge inaspettata quando si è profondamente sperimentata la bontà di Dio e c’è il desiderio di trasmettere questa esperienza ai bambini.

Ecco… i bambini… Intanto mentre parliamo loro di Gesù ci arricchiamo per primi noi, poi loro sono le persone più semplici e ricettive.

Purtroppo spesso accade che nello svolgere questa bella missione si incontrino bambini indisciplinati, rumorosi, che non ascoltano ed è proprio in questi momenti che non bisogna scoraggiarsi. Prima di tutto ciascuno deve sentire che gli vogliamo bene, anche se è il più monello, poi dobbiamo pregare sempre per loro e saperci accontentare di quel poco riscontro che essi sanno dare: una giusta intuizione al momento opportuno, lo stupore nei loro occhi e – da non sottovalutare – la loro costante presenza.

                                                                                                                 Anna