5° Incontro – 22 Marzo 2024
Ancora sul diluvio
Gen. 6,14-9,17
Il capitolo 6 di Genesi mostra due aspetti fondamentali: da un lato come il dilagare della violenza scateni il disastro e dall’altro come il vero intento di Dio non sia quello di operare una distruzione fine a se stessa, ma un radicale rinnovamento del mondo.
Nella seconda parte del capitolo risaltano meticolose istruzioni relative alla costruzione dell’arca. Il dilungarsi su tali istruzioni vuole sottolineare che ci si salva solo obbedendo alla Parola di Dio. Infatti Noè si fida della parola di Dio e inizia a costruire l’arca, esponendosi allo scherno dei suoi contemporanei. La meticolosità delle istruzioni suggerisce anche che tra il decreto della fine e la sua esecuzione c’è un intervallo di tempo: è il tempo della pazienza di Dio e, correlativamente, il tempo della possibile conversione dell’uomo, tempo in cui scegliere se entrare o meno in un processo di cambiamento profondo. Il verbo entrare ricorre più volte nel capitolo, mettendo in risalto la necessità di entrare finché c’è tempo, decidere della propria vita.
Il capitolo 8 descrive la fine del diluvio ed il lento defluire delle acque, durato parecchi mesi: è il tempo della pazienza dell’uomo. Ciò che causa la progressiva diminuzione delle acque è il fatto che “Dio si ricordò di …”, espressione che ricorre nelle Scritture per introdurre precisi momenti salvifici del Signore.
Così in Esodo 2,24-25 “si ricordò della sua alleanza con Abramo e con Giacobbe” e nel Magnificat (Lc 1,59) “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia…” e nel Benedictus (Lc 1,72) “Egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza…”.
Dunque il ricordo di Dio lungo tutta la storia della salvezza è espressione della sua fedeltà alla parola data e all’impegno assunto verso il suo popolo.
Quando Noè esce dall’arca Dio prende un impegno solenne nei confronti dell’umanità: “Non maledirò più l’uomo (‘adamah) a causa dell’uomo (‘adam), perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dalla giovinezza… finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno”. Dio mostra così che il suo amore fedele è più forte del male della storia. Segno di questa alleanza è l’arcobaleno.
Nel capitolo successivo viene ripreso il motivo della benedizione divina con parole che ricalcano quelle che Dio aveva pronunciato quando aveva benedetto Adamo: “siate fecondi e riempite la terra.“ Ma soggiunge qualcosa che crea una differenza rilevante: “il timore e il terrore di voi sia in tutti gli animali della terra e in tutti gli uccelli del cielo”: rispetto al progetto originario che prevedeva il dominio pacifico della terra, ora è come se Dio prendesse atto che il mondo resta segnato dalla conflittualità e che a dominare le relazioni è la paura dell’altro. Così il cibo concesso all’uomo non è più solo vegetale e il nuovo regime alimentare concede spazio alla violenza. Per poterla contenere è necessario il ricorso alla legge, allo scopo di contrastare la cupidigia e l’aggressività. Ma la legge è insufficiente a sradicare la violenza: serve la trasformazione del cuore affinché l’uomo si realizzi a immagine del Dio di mitezza.