II lectio di P. Maurizio Teani sj – Venerdì 24 novembre 2017

L’enigma e il senso della storia.

Una lettura del profetismo biblico – ELIA

 

Il profeta non ha Dio in tasca, non riconosce facilmente dove Dio parla negli eventi concreti della storia, ma deve fare discernimento, cercare di leggere quello che sta accadendo alla luce di Dio.

Il profeta stesso, che invita gli altri alla conversione, è chiamato per primo a cambiare il modo di capire e di vedere come Dio opera nella storia.

Testi di riferimento sono i capitoli dal 17 al 19 del Primo Libro dei Re.

Elia ha operato nel nord di Israele nella prima metà del IX sec. Alla morte di Salomone le tribù del nord si erano staccate da quelle del sud (da Giuda), per motivi di giustizia sociale.

Israele era governato dal re Acab che, per una politica di alleanze, aveva sposato Getzabele, figlia del re di Tiro, la quale aveva introdotto in Israele la religione dei Fenici. Questi adoravano Baal (che letteralmente significa padrone, signore, marito), divinità della tempesta, della pioggia e della fecondità, che era paragonabile a Giove Pluvio e che come lui era rappresentata con un fascio di saette.

Noi oggi spesso ci comportiamo come i Fenici, ci inchiniamo davanti a quelle realtà che appaiono interessanti perché pensiamo di ottenere facilmente fecondità e ricchezza.

Getzabele aveva perciò corrotto lo Javhismo ed Elia ha la missione di denunciare la situazione, mettendo in guardia coloro che si erano consegnati a questa falsa divinità che non avrebbero ricevuto fertilità e ricchezza, ma sterilità, aridità, distruzione e morte.

Questo accade anche a noi tutte le volte che cadiamo nell’idolatria, quando assolutizziamo delle realtà, pensando che diano chissà cosa, ma di fatto portano solo desolazione e distruzione. Il messaggio che Elia deve profetizzare è: chi dà la pioggia non è Baal, ma Dio. Elia però non si esprime secondo Dio, infatti dentro le sue parole si percepisce un po’ di presunzione.

Cap 17 vs 1: Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Gàlaad, disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io». Subito dopo leggiamo al vs 2: a lui fu rivolta questa parola del Signore: “Vattene di qui, dirigiti verso oriente”. L’autore ci mette in guardia: solitamente Dio si rivolge ad un profeta dicendogli all’inizio “va”, invece in questi versetti Dio interviene dopo che Elia ha parlato ad Acab. Questo è un modo sottile per indicare come Elia si sia un po’ impadronito del messaggio e non lo stia trasmettendo secondo lo stile di Dio.

Vs 4 i corvi per mio comando ti porteranno il tuo cibo. I corvi nella Bibbia erano considerati animali impuri, ma proprio attraverso un animale disprezzato Dio nutre il profeta.

Vs 9 Dio interviene la seconda volta: Alzati, va’ in Zarepta… io ho dato ordine ad una vedova di là per il tuo cibo. Alzati e va’ sono verbi di missione; Dio manda Elia più lontano, in Fenicia, nel territorio di Getzabele, dove sarà mantenuto da una donna vedova pagana. Quasi a dimostrargli che il bene c’è dappertutto.

Cap 18 vs 1 Dopo molto tempo, il Signore disse a Elia, nell’anno terzo: «Su, mostrati ad Acab; io concederò la pioggia alla terra». Dopo tre anni di siccità, Elia riceve la terza parola di Dio e viene inviato al re Acab, al quale si era già rivolto a modo suo in passato. Notiamo il contrasto tra quanto aveva detto Elia al capitolo 17 e quanto dice Dio al capitolo 18: la pioggia la manderà Dio. Lo stato di siccità è un progetto di Dio che cerca sempre il bene di tutti. Il profeta obbedisce e si presenta ad Acab. Segue lo scontro sul monte Carmelo tra Acab ed Elia al fine di provare quale delle 2 divinità sia il vero Dio. Il Signore invia il fuoco che consuma l’olocausto, preparato per le divinità, ed Elia vittorioso sgozza i 450 profeti di Baal.

Cap 19 Il capitolo si apre con la notizia dell’accaduto riportata a Getzabele da Acab. Elia si rende conto che il potere è ancora in mano a quei due, ha paura e scappa più a Sud, uscendo dal territorio di Israele, fuori dalla giurisdizione della regina.

Vs 5 …si coricò e si addormentò… il sonno è segno di un appannamento interiore, di una fatica a sostenere una situazione difficile: Elia pensava di aver sconfitto quel potere idolatrico, invece si rende conto di aver fallito nella missione quando aveva profetizzato autonomamente, pieno di sé, in modo violento. Il Signore allora si fa presente attraverso un suo angelo = messaggero, trovando modo di sostenere il suo inviato. Una focaccia e un po’ di acqua sembrano segni insignificanti, ma se accolti, danno la forza necessaria per riprendere il cammino in modo nuovo. Elia sostenuto da questo nutrimento, dopo quaranta giorni di cammino, raggiunge l’Oreb, il monte di Dio. La sua fuga diventa così un cammino di ricerca, la sua domanda A chi è in mano la storia? trova la risposta nella ricerca del Dio dell’Esodo.

Dal vs 9 è Dio che va a cercare Elia: che fai qui, Elia? E’ una domanda che rivela la pedagogia di Dio, come tante altre, che invitano il soggetto a guardarsi dentro e a comprendere cosa sta vivendo. E’ un modo per aiutare Elia a fare chiarezza, ad esprimere quello che sta attraversando, a non mentire a se stesso. Anche Ignazio negli EESS desidera accompagnare le persone, li invita a fare chiarezza nella propria vita.

Il profeta sfoga tutto il suo rancore e dichiara che sta cercando di difendere Dio, dal momento che il popolo ha iniziato ad essergli infedele seguendo Baal – potremmo oggi dire i Baal di turno. Elia crede di essere rimasto solo a credere nell’alleanza tra il Signore e il popolo di Israele. Allora Dio gli dice al versetto 11 …esci e fermati sul monte alla presenza del Signore.  Dio non si rivela nel vento forte, nel terremoto, nel fuoco – tutti elementi presenti nella rivelazione a Mosè sul monte Sinai. Dio si rivela nel mormorio di un vento leggero: non sono i modi prodigiosi quelli con cui Dio si rivela, bensì utilizza un segno tenue, che richiede attenzione per essere riconosciuto. E questo sarà lo stile che il profeta deve assumere.

La forza di Dio, che si rivelerà in maniera sempre più piena con Gesù, è quella dell’Amore inerme, che lavora dall’interno (non spezzerà la canna fragile, né spegnerà il lucignolo fumigante). Ciò significa che siamo chiamati ad un cambiamento interiore per seguire realmente il progetto di Dio.

  • Quali segni cerchiamo?
  • Ci stiamo preparando al Natale: qual è il segno del Natale che stravolge il pensiero comune? Un bambino piccolo e indifeso che viene per salvarci!

Elia non si lascia convincere facilmente, come succede spesso anche a noi. Nonostante abbia sperimentato la presenza del Signore nel vento leggero, Elia risponde alla seconda chiamata con le stesse parole: … «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita» …  a significare la sua fatica ad entrare in questo nuovo progetto divino che prevede una conversione radicale ed interiore: occorre cambiare totalmente il proprio orizzonte di vita, proprio di 180°.

Vs 15-16: .. Il Signore gli disse: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Hazaèl come re di Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsi, come re di Israele e ungerai Eliseo figlio di Safàt, di Abel-Mecola, come profeta al tuo posto.   Questa conversione comporta un cambiamento nella lettura della realtà, infatti Elia ungerà un nemico come re di Aram (che corrisponde all’attuale Siria, nemici storici di Israele). Poi Dio gli annuncia che ungerà Eliseo, il profeta che continuerà l’opera di Elia, come a dire che non sarà lui, ma un altro a continuare l’opera di Dio.

Vs 18 Io poi mi sono risparmiato in Israele 7.000 persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal… Elia credeva di essere rimasto il solo fedele, mentre il Signore gli/ci dimostra che agisce nel segreto delle coscienze di tutti, ottenendo conversioni che spesso ci sorprendono.

Gli incontri a S.Giorgio possono creare occasioni di condivisione, per sperimentare un’attenzione comune a certi valori, alla Parola del Vangelo. Quando ci si trova in difficoltà, sembra che tutto crolli, ma Dio ci invita ad una rilettura. Il rischio è di pensare alla propria missione come ad un’ennesima battaglia da affrontare, mentre quello che ci è chiesto è invece di sposare lo stile di servizio, che Gesù ci ha rivelato.

Papa Giovanni aveva fatto una scelta esplicita nella sua pastorale: portare a tutti l’Evangelo con segni di amicizia e di misericordia. Quando era Nunzio Vaticano negli anni ’30, in Bulgaria, aveva fatto amicizia con gli Ortodossi, e per questo era stato criticato a Roma. Da patriarca di Venezia invitava i suoi preti ad usare parole di misericordia, piuttosto che di condanna verso coloro che faticavano a seguire la parola del Signore.

Così Papa Francesco con l’Evangelii Gaudium, quando usa la parola MISERICORDIA non è per intendere un atteggiamento di buonismo, ma per indicare un preciso stile da acquisire, al fine di intervenire in questa nostra storia che si dimostra sempre più idolatra. Anche oggi, infatti, abbiamo i nostri Baal e l’intervento di Dio sembra essere sempre più sfumato, meno visibile. Ma noi cristiani dobbiamo rimanere vigilanti, perché siamo chiamati a “non fissare lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne”, come dice San Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi.

Don Mazzolari diceva: “Là dove l’uomo è passato creando solitudine e morte, lo Spirito del Signore fa rigermogliare ogni cosa nel silenzio”.

Questa lettura della vicenda di Elia diventa quindi un invito per ciascuno di noi nel cercare QUALI sono i segni di Dio e nel comprendere COME Lui opera nella nostra storia. La proposta è dunque quella che il Papa esplicita anche nell’Evangelii Gaudium, ossia di trasmettere con i gesti la Buona Notizia, prima ancora che con le parole, come ha fatto Gesù che si metteva a tavola con i peccatori, prima di rassicurare loro che il Padre era pronto ad accoglierli così com’erano nei loro fallimenti.